Morto un accordo, è importante che se ne faccia un altro

Dopo oltre un decennio di negoziati il Consiglio federale decide di abbandonare il tavolo delle trattative sull’Accordo quadro. Con l’UE non è stato purtroppo possibile trovare un compromesso che fosse nell’interesse della Svizzera e capace di convincere Popolo e Cantoni. L’obiettivo ora è tracciare una chiara traiettoria di sviluppo per il nostro Paese lungo la via bilaterale – l’unica ricetta che evita due soluzioni che rifiutiamo categoricamente: l’isolamento o l’adesione all’UE.

Era ormai noto che l’Accordo quadro fosse insoddisfacente per quanto concerneva alcuni aspetti molto sensibili, come il mercato del lavoro che – soprattutto in Ticino – è parecchio sotto pressione. “Non si tratta di un «mercredi noir»” commenta il Presidente del PLRT Alessandro Speziali a seguito della decisione del Governo federale, “ma per la Svizzera si apre una fase di incognite nei rapporti con il principale partner economico, sociale e culturale: dobbiamo guardare avanti e identificare tutte le misure sia sul piano interno, sia su quello internazionale per promuovere i posti di lavoro, la ricerca scientifica, le università e tutti i settori che producono il nostro benessere”. È una scelta coraggiosa e inusuale rispetto alla tradizione diplomatica elvetica, ma anche pragmatica perché le posizioni di Berna e Bruxelles erano ormai cristallizzate. Il Consiglio federale si è accorto che sottoscrivere l’Accordo rinunciando ad alcune rivendicazioni essenziali – sul piano della sovranità e della tutela del nostro sistema politico –, avrebbe creato le premesse per una situazione simile a quella della celeberrima rana immersa nell’acqua calda.

A corto termine gli attuali Accordi bilaterali assicurano alla Svizzera la situazione conosciuta sinora, ma sul medio termine si aprono scenari che potrebbero deteriorare il modello di sviluppo conosciuto sinora. Occorre quindi che questo epilogo negoziale corrisponda a quel tasto “reset” – auspicato giustamente a suo tempo dal CF Ignazio Cassis – che ci permetterà di ripartire nelle relazioni con l’UE, sviluppando però nel contempo soluzioni multilaterali con partner al di fuori dei 27 Stati membri e una serie di programmi nazionali a sostegno dell’economia. Il Consiglio federale non può infatti pensare di sotterrare il Piano A per poi sperare nella sua resurrezione, senza dotarsi parallelamente di Piani B e C.

È questa la via maestra per rassicurare le moltissime aziende, università, associazioni eccetera che operano dentro e fuori la Svizzera, che non può perdersi nelle rivalse politiche su uno dei dossier tra i più complicati degli ultimi 20 anni.